Skip to main content

Nell’era della trasformazione digitale, l’interoperabilità non è solo una questione tecnica: è una scelta strategica e culturale.
Significa costruire una Pubblica Amministrazione capace di dialogare — tra enti, livelli istituzionali e sistemi informativi — per offrire ai cittadini e alle imprese servizi integrati, semplici e realmente utili.

Isolarsi, invece, significa moltiplicare inefficienze: dati duplicati, processi frammentati, soluzioni ridondanti.
Ogni volta che un sistema non comunica con un altro, si perde tempo, si disperde valore e si rallenta l’innovazione.

L’interoperabilità è collaborazione: è la base su cui costruire una PA aperta, connessa e sostenibile, in grado di mettere al centro il cittadino e non la burocrazia.
Adottare standard condivisi, integrare piattaforme e condividere esperienze non è solo una necessità tecnica, ma un segno di maturità organizzativa.

Come si applica concretamente l’interoperabilità

L’interoperabilità si realizza su più livelli, che insieme costruiscono l’ossatura di una PA capace di dialogare:

  1. Interoperabilità dei dati
    I dati vengono scambiati e compresi allo stesso modo tra enti diversi, utilizzando formati aperti (XML, JSON, CSV) e vocabolari condivisi.
    Seguendo il principio del “once only”, il cittadino fornisce un’informazione una sola volta, e le amministrazioni se la scambiano in modo sicuro.
    Esempio: un Comune che consulta l’ANPR per i dati anagrafici, senza richiederli nuovamente al cittadino.
  2. Interoperabilità applicativa
    I sistemi software “parlano” tra loro tramite API e servizi standard.
    Significa integrare piattaforme nazionali come SPID, pagoPA, CIE e IO app, e pubblicare le proprie API su API Italia.
    Esempio: un portale comunale che integra SPID per l’autenticazione e pagoPA per i pagamenti digitali.
  3. Interoperabilità organizzativa
    Gli enti coordinano processi e responsabilità per lavorare in rete.
    Esempio: Regione, ASL e Comuni che gestiscono insieme i servizi socio-sanitari online, condividendo piattaforme e regole operative.
  4. Interoperabilità normativa
    Le regole e i contratti ICT devono essere coerenti con il Modello di Interoperabilità (MdI) e le Linee guida AgID.
    Esempio: un appalto che richiede l’uso di API conformi agli standard nazionali.

I passi per renderla reale

Applicare l’interoperabilità richiede metodo e visione. Ecco i passi chiave:

  1. Definire una visione comune: chiarire obiettivi e benefici, costruendo una governance condivisa.
  2. Mappare dati, processi e sistemi: sapere cosa si ha, dove si trovano i dati e come vengono usati.
  3. Adeguarsi agli standard nazionali: adottare il Modello di Interoperabilità, usare formati aperti e API standard.
  4. Sviluppare e pubblicare API: documentarle, renderle sicure e accessibili su API Italia.
  5. Creare accordi di cooperazione: stabilire protocolli tra enti e piattaforme comuni.
  6. Gestire sicurezza e privacy: garantire conformità al GDPR e tracciabilità degli scambi.
  7. Monitorare e migliorare: definire KPI, misurare i risultati, favorire il riuso di soluzioni e buone pratiche.

Ma è davvero applicabile?

L’interoperabilità è uno scenario ambizioso ma assolutamente possibile.
Richiede coordinamento tra persone, tecnologie e regole, e oggi ci sono tutte le condizioni per attuarla:

  • Standard chiari: il Modello di Interoperabilità AgID offre un quadro normativo e tecnico solido.
  • Infrastrutture già attive: SPID, pagoPA, ANPR e IO sono esempi concreti di cooperazione digitale.
  • Finanziamenti e progetti PNRR: molte iniziative già prevedono l’adozione di API e piattaforme interoperabili.
  • Comunità e riuso: portali come developers.italia.it permettono di condividere codice e soluzioni.

La chiave è procedere per gradi e con progetti concreti, partendo da piccoli scambi di dati, integrando piattaforme esistenti e creando fiducia tra enti.

Dalle isole agli ecosistemi

L’interoperabilità non è un software: è un modo di pensare e di collaborare.
Serve visione, metodo e una volontà condivisa di superare le barriere organizzative e tecnologiche.

Il futuro della Pubblica Amministrazione non è fatto di isole digitali, ma di ecosistemi che cooperano, dove ogni dato, processo e servizio concorre a generare valore pubblico.

Domande Frequenti

1: Che cos’è l’interoperabilità nella Pubblica Amministrazione?
È la capacità dei sistemi e degli enti pubblici di dialogare e condividere dati e servizi in modo sicuro, standardizzato e coordinato, per offrire servizi più semplici e integrati ai cittadini.

2: Perché l’interoperabilità è fondamentale per la trasformazione digitale della PA?
Perché elimina duplicazioni, semplifica processi e migliora l’efficienza. Una PA interoperabile riduce la burocrazia e consente ai cittadini di fornire un dato una sola volta (“once only”).

3: Quali tipi di interoperabilità esistono?
Quattro principali:

  • dei dati (scambio in formati aperti),
  • applicativa (API e servizi digitali),
  • organizzativa (coordinamento tra enti),
  • normativa (regole e contratti ICT coerenti con il Modello di Interoperabilità AgID).

4: Come si realizza l’interoperabilità nella PA?
Serve una visione condivisa, mappatura dei dati, adozione del Modello di Interoperabilità, uso di API standard, accordi di cooperazione, sicurezza GDPR e monitoraggio continuo dei risultati.

5: Quali esempi concreti di interoperabilità esistono oggi in Italia?
Piattaforme come SPID, pagoPA, ANPR e app IO rappresentano casi di successo di interoperabilità, dimostrando come la cooperazione tra enti renda i servizi pubblici più rapidi e accessibili.